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Come proteggere i figli dai pericoli in rete

I figli crescono e le esigenze di maggiore autonomia cominciano ad aumentare. La sensazione di perdere il controllo come genitore è sempre più reale. 


Ma prima di tutto dovremmo conoscere quali sono questi reali pericoli. Sarai sorpreso (o forse no) di sapere che ne sono numerosi e alcuni veramente al di là di ogni immaginazione. Li hai mai sentiti nominare? Sai cosa sono?

Cyberbullismo - Sharenting - Grooming - Pedopornografia...ecc

Informazioni dettagliate e aggiornate si possono ricevere direttamente dal sito della Polizia di Stato o Polizia Postale

https://www.commissariatodips.it/da-sapere/per-i-genitori/navigazione-sicura-e-consapevole-dei-minori-su-internet/index.html

Innanzitutto dovremmo distinguere i figli in base all'età.

Un conto è un adolescente di 14 anni che richiede sempre più autonomia, un altro è un bambino o bambina di 9 anni. Le richieste di autonomia sono nettamente diverse e diversamente gestibili! Il miglior consiglio è che un telefono, tablet ecc non dovrebbe essere concesso mai prima dei 14 anni, ma è sempre più difficile se non utopistico, seppur auspicabile.

Prima del dialogo:

Prima di qualsiasi tipo di consiglio o di dialogo più assertivo  possibile con i nostri figli, sarebbe auspicabile non dotarli di una completa autonomia e gestione della rete. Ad esempio se una bambina di 9 anni ha diversi profili social senza restrizioni, posta foto e video privati  e alla quale è permesso accedere alla rete in qualsiasi orario e per quanto tempo desidera, allora affermare un certo controllo e impostare dei limiti, comincia ad essere una impresa quasi impossibile poichè è rimasto ben poco da limitare. Concedere e poi ritrattare potrebbe risultare inspiegabile e suscitare sentimenti di sfiducia verso il genitore che sarà percepito come incostante e ingiusto, quindi non da seguire. Vien da sé che la prima regola potrebbe essere:

  • Fornire l'accesso limitato e monitorato il più possibile, in modo che le concessioni siano sempre più progressive, graduali e lente nel tempo.

Cosa dire?

I ragazzi non vogliono sentire consigli e soprattutto sempre gli stessi!

  • Durante la finestra di tempo breve che ci concederanno per parlare con loro, focalizziamoci sui consigli fondamentali e sui rischi davvero pericolosi, come riconoscerli ed evitarli; quando li comunicate, fatelo senza ansia, cosi verranno recepiti in modo più chiaro e definito.

  • Non ripetere le stesse cose all'infinito!

Una raccomandazione ripetuta ogni volta e in più occasioni perde il suo valore, cosi come il genitore che la pronuncia, perde la sua credibilità e quindi non sarà ascoltato e preso sul serio.

  • Dialogo aperto

Essere disponibili al dialogo non farà perdere autorevolezza, cosi come stare sempre con il fiato sul collo, proibire e punire non vi renderà persone autorevoli. Se è vero che una dose di autorevolezza è fondamentale, lo è di più rendere il figlio certo che in qualsiasi momento, soprattutto quando ne avrà bisogno, potrà confidarvi un problema, potendo contare sulla vostra disponibilità sincera. Tradire una sola volta questa fiducia con rimproveri o peggio, dopo una richiesta di aiuto, farà chiudere le porte a qualsiasi opportunità di dialogo futuro. 

  • Frasi da non dire mai!

Le frasi da non dire ad un adolescente sono quindi quelle frasi fatte che alimentano il conflitto genitore figlio adolescente tipo il "te l'avevo detto", "sei grande quando ti pare o quando ti fa comodo", "fossero tutti questi i problemi della vita", "perché lo dico io", "non mi devi parlare in questo modo perché sono tuo padre o perché sono tua madre" e via dicendo. Prima ascolto poi dialogo!

  • Entra nel suo mondo social

Interessati di ciò che fa sui social, apprezza la sua creatività (se è opportuno). All'inizio magari riceverai un rifiuto, ma la tua curiosità sincera, volta dopo volta, potrebbe invogliarlo a condividere qualcosa; giunto a quel punto ricorda che è importante non guardare e giudicare le cose solo dal proprio punto di vista, ma anche da quello del figlio, comprendendo il suo mondo (o almeno provarci). Una cosa può essere banale e sciocca ai nostri occhi, mentre per loro è socialmente rilevante. Ricorda anche che arrivato fin qui si ha la possibilità di intravedere se la situazione è a rischio o meno. Non perdere la posizione conquistata con commenti svalutanti e rimproveri. 

Suggerimenti per i genitori per mettere in atto la modalità di ascolto assertiva:

  • Stare in silenzio, ascoltare senza interrompere...mai, qualsiasi cosa stia dicendo;
  • Fare domande aperte, chiare, esplicite; "Parlami di quel giorno che..." "che ne pensi di..." e NON  "Che hai fatto con...? " "Perche?" Evita di usare la domanda Perchè, implica delle spiegazioni che a volte non sono chiare nemmeno al ragazzo stesso e nello stesso tempo costringe ad una risposta senza via di uscita. Potrebbe portare inevitabilmente alla chiusura e alla fine del dialogo.
  • Riassumere cosa il bambino/ragazzo ha detto per avere conferma di avere capito: "Fammi capire bene, allora, tu..." non aggiungere interpretazioni o toni strani o sarcastici, ma ripeti frasi dette.
  • Mettersi a disposizione solo se è davvero il momento giusto per noi, altrimenti rimandare fornendo le proprie ragioni. Magari sei stanco, e vorresti far tutto tranne essere assertivo e fare dialoghi "genitore comprensivo-figlio". Bene, riposati, ma definisci la tua posizione, rimanendo aperto, disponibile e gentile, cosi da non rovinare il lavoro conquistato con tanta fatica. Ad esempio non usare frasi come: "No, adesso non ho voglia", ma prova a sostituire con parole che rimandano lo stesso concetto, ma come per magia, danno un senso di accoglienza: "ora sono davvero stanco, ma ho tanto interesse ad ascoltare quello che vuoi dirmi e meriti tutta la mia attenzione possibile che ora purtroppo non posso darti".
  • Queste sono piccole tecniche per trasformare frasi aggressive o passivo-aggressive in frasi assertive, dove si esprime il proprio punto di vista in modo chiaro, come ad esempio un no categorico, ma rimanendo gentili e disponibili al dialogo. Altri esempi: Siamo spesso colti da un desiderio irrefrenabile di strappare il telefono dalle mani di nostro figlio e vedere in 5 secondi che cosa sta combinando e risolvere i nostri dubbi, potremmo essere tentati di dire: "Mi daresti il telefono?Devo controllare che combini". Risposta: no! Cambiamo qualche parola: "So che hai molti followers che ti fanno molti complimenti, anche a me farebbe piacere vedere questo tuo talento, se ti va". Risposta: "mmm..." Ci vuole costanza e impegno e reale interesse attraverso l'ascolto attivo ed empatico per fare in modo che si apra a noi..
  • Accettare sentimenti ed emozioni del bambino/ragazzo anche se inaspettati e diversi da quello che vorremmo;
  • Avere fiducia nella capacità del bambino/ragazzo di gestire le emozioni forti, che comunque sono transitorie; la frase più bella da dire è: " Mi fido di te"
  • Incoraggiare il bambino/ragazzo dicendo: "hai voglia di parlarmene?", "Ah sì", "raccontami", "interessante", "dimmi di più", "hai voglia di dirmi altro?"
  • Essere pronto ad ascoltare, incoraggiando il bambino-ragazzo a esprimere quello che pensa in quel momento in modo che la situazione acquisti una nuova luce. "Che cosa stai provando in questo momento?"

Se c'è già un problema

I segnali a cui prestare attenzione per capire se c'è un problema.

· il bambino/ragazzo cambia comportamento all'improvviso riguardo l'uso del telefonino o del computer: trascorre molto tempo a scrivere sms, a fare o ricevere chiamate, anche in tarda serata e resto molto connesso al Pc;

· si allontana e apparta ogni volta che riceve o effettua una chiamata con il telefonino o si connette a Internet;

· è molto ansioso e si rifiuta di farti vedere telefonino o schermo mentre è connesso;

· consuma molto velocemente il credito del telefonino senza dare spiegazioni;

· è ansioso o preoccupato quando riceve una chiamata o è connesso. E non ti spiega spontaneamente il motivo;

· modifica i ritmi sonno-veglia (dorme troppo, dorme poco, ha incubi) o il comportamento alimentare e il rendimento scolastico.

· Se passa molto tempo a giocare, ma non sai se si possa parlare di dipendenza o meno, se la passione per il videogame è totalizzante e prende ogni momento libero della giornata, quello è il momento di intervenire e chiedere l'aiuto di un professionista psicologo.

A cura della Dott.ssa Tittarelli Federica 

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Lo stress in Polizia

Lo stress in Polizia: 

un'emergenza sottovalutata


a cura della dott.ssa federica tittarelli 

Le forze di Polizia sono molto spesso dimenticate fra le professioni a rischio burnout, stress e sviluppo di disturbo da stress post traumatico (DPTS), specialmente in questo periodo di emergenza. Quali potrebbero essere le cause di ciò? Una percezione errata e una cultura diffusa che escludono tale professione dalla categoria a rischio elevato di stress.

La realtà dei fatti invece racconta di un altro fenomeno decisamente opposto: le forze di Polizia, in particolare Polizia Locale, Polizia di Stato, e le altre forze di controllo, in quanto agenti con funzione di pubblica sicurezza, sono esposti, come categoria, ad un rischio di livello medio-alto, alto, di sviluppare problemi psicologici e compromissione della salute psicofisica.

Fra i compiti e le attività dobbiamo menzionare, oltre la frequente relazione interpersonale con i cittadini, anche la presenza di pericoli per la propria incolumità, il contatto con situazioni particolarmente critiche, con persone violente o vittime di violenza.

Nei casi di estrema emergenza e gravità, quali incidenti stradali, incendi o disastri, TSO (trattamenti sanitari obbligatori), in caso di morte o ferimento di colleghi, gli operatori sono sempre in prima linea. La sofferenza e il burnout che ne possono derivare, non solo sono molto diffusi, ma sfociano spesso nel suicidio (grazie anche all'uso delle pistole di ordinanza).

La valutazione psicologica del rischio stress lavoro-correlato rimane inefficace o non viene mai realizzata lasciando gli operatori privi di tutela e sostegno psicologico.

Il lavoro svolto all' esterno viene percepito come più stressante poiché esposto a pericoli, rispetto a quello interno, nelle centrali, più simile ad un mero lavoro burocratico.

Niente di più sbagliato! sia nei compiti svolti esternamente che in centrale le situazioni critiche sono molteplici e gli operatori di polizia possono facilmente riconoscersi nei seguenti fattori di rischio organizzativo:

- Gestione dell'emergenza e dell'imprevisto con esposizione continua emotivamente rilevante senza essere supportati da adeguati percorsi formativi di problem solving;

- Rischio di contagio da malattie infettive, soprattutto nella situazione attuale, senza usufruire di incontri formativi di aggiornamento sui rischi biologici e le misure di prevenzione e protezione, nè uso, o scarso uso di adeguati presidi medici (guanti, mascherine per tutto il personale);

- Richiesta di svolgere più compiti simultaneamente per carenza di personale, imprevedibilità degli orari di lavoro con improvvise variazioni e conseguenti ripercussioni sulla vita sociale e familiare;

- Dover far spesso ricorso al lavoro straordinario, per necessità organizzative ed eventuali emergenze;

- infine la situazione più comune: essere in contatto continuo con l'utenza e potenziale rischio di colluttazioni, aggressioni verbali e/o fisiche, minacce, offese, anche in attività meno pericolose come gestione del traffico e della sosta.

L'aiuto psicologico dovrebbe essere di più facile accesso, come l'istituzione di sportelli d'ascolto mirati, gratuiti e ad accesso libero, gestiti da psicologi professionisti; Si dovrebbe godere di agevolazioni e collaborazioni, non solo a carattere privato e personale accordati fra psicologo e operatore di polizia; seppur è vero che molti sono gli psicologi che nella loro libera professione promuovono personalmente costi agevolati e diversi servizi rivolti proprio alle forze dell'ordine, questo purtroppo non basta.

Dovrebbe essere incentivato un lavoro di rete e di prevenzione, come la messa in atto di alcune misure correttive di carattere generale mirate alla prevenzione e/o riduzione del rischio da stress lavoro-correlato, nonché una sua valutazione corretta e obbligatoria.

Stress e strategie di coping


articolo a cura della dott.ssa Federica Tittarelli, psicologa

"sono molto stressato ultimamente, non riesco a rilassarmi, ci provo eh, ma non ci riesco."

"A volte sento il cuore che vorrebbe scoppiare e ultimamente dormo anche male, faccio fatica ad addormentarmi e la mattina mi sveglio presto, anche se ho sonno, non riesco a riaddormentarmi". "sinceramente tratto male chiunque mi è intorno, eppure voglio loro bene, mi dicono che non sono più io...sto diventando un mostro, non capisco cosa mi succede"

L'esposizione prolungata allo stress può indurre emozioni dolorose come ansia e depressione, e portare a malattie fisiche (infarto, ictus, complicanze cardiocircolatorie...).


Le reazioni individuali allo stress differiscono significativamente da persona a persona;

di fronte allo stesso evento stressante ad esempio, alcune possono sviluppare seri problemi psicologici e fisici, mentre altre non sviluppano alcun problema.

La psicologia della salute, chiamata talvolta medicina comportamentale, studia come le situazioni stressanti influenzano la salute fisica e psicologica, e come le persone differiscono nel modo di reagire allo stress.

Lo stress può essere definito come uno stato psicofisico normale reattivo che si presenta quando le persone devono fronteggiare situazioni che possono minacciare il loro benessere. Queste situazioni vengono chiamate stressor o agenti stressanti, e le reazioni ad esse vengono chiamate risposte da stress. Qualsiasi evento può essere percepito stressante, soprattutto se richiede cambiamenti o adattamenti nella vita. Ma allora perché alcuni eventi per alcuni sono banali e per altri sono stravolgimenti pesanti della loro vita? Una spiegazione ci viene dalla teoria di Lazarus e Folkman che propongono una teoria cognitivo-transazionale dello stress. Secondo gli autori lo stress è una condizione che deriva dalle continue transizioni fra variabili ambientali e individuali, mediate da variabili cognitive. Ciò significa che un evento viene considerato stressante sulla base di come viene interpretato e valutato dalla persona. La persona quindi compie una valutazione cognitiva della situazione che gli procura stress, quindi la giudica, decide se la situazione è stressante, in un primo momento (valutazione primaria) e poi determina se è in grado di gestirla (valutazione secondaria). Tuttavia, succede una cosa in più.

La valutazione è mediata anche dalle caratteristiche oggettive dello stressor, cioè quanto impatta emotivamente sulla persona, per quanto tempo dura, quanto lo sente vicino ad altri eventi altrettanto stressanti da sommarsi, minacciando ulteriormente l'equilibrio psicofisico che si sta tentando di mantenere.

Di fronte a questi eventi le persone adottano una varietà di comportamenti per fronteggiarli, definite strategie di coping. Tali strategie possono essere positive, quindi funzionali per fronteggiare la situazione. Ecco alcuni esempi:

- cercare e percepire supporto emotivo altrui: "parlo con qualcuno per saperne di più".

- focalizzarsi su strategie di problem solving per uscirne: "faccio un piano d'azione e lo seguo valutando rischi e benefici".

- accettazione della responsabilità di essere autori delle proprie scelte e non in balia del fato o destino, denotando una forte percezione di autocontrollo: "sono autocritico verso me stesso"," la mia situazione dipende dalle mie scelte".

- rivalutare positivamente l'evento, corrisponde al classico "cercare il lato positivo", "cerco di cambiare o di crescere come persona nella direzione giusta".


L'abilità di usare queste strategie funzionali dipende dalla varietà di esperienze accumulate nell' aver già fronteggiato esperienze passate analoghe, piuttosto che ad una predisposizione innata caratteriale. Le strategie di coping disfunzionali invece messe in pratica per alleviare l'ansia, non fanno che complicare la situazione. Esempi:

- cercare sostegno e supporto si fa uso di alcol anziché rivolgersi ad un amico o ad un professionista della salute mentale.

- L' evitamento: "passo oltre come se non fosse successo niente".

- fuga dalla realtà: "spero che accada un miracolo".


Il bagaglio di strategie consone e funzionali fa parte di quello che viene chiamata resilienza cioè la capacità di adattamento anche in condizioni di vita particolarmente sfavorevoli. La cosa importante da sapere è che le strategie di coping non sono immutabili o innate, ma possono essere cambiate, possono essere apprese attraverso training specifici, possono essere adottate facendo uno sforzo concreto attraverso l'esperienza. Più le utilizziamo facendole nostre, più facciamo esperienza di poter riuscire a superare certi eventi, più questo alimenta il nostro senso di efficacia e quindi di autostima.

DIAGNOSI DSA Disturbi specifici dell'Apprendimento 

 Perchè scegliere lo Psicologo?


Lo Psicologo, nel suo lavoro di potenziamento psicoeducativo, mira ad un forte investimento motivazionale, opportune strategie di apprendimento, diminuzione rischio di ansia e depressione, sostegno psicologico. 

 A partire da queste parole chiave subentra la necessità che il potenziamento cognitivo di un bambino sia condotto da uno Psicologo il quale può tenere conto sia della componente psicologica implicata negli apprendimenti (investimento motivazionale, aumento dell' auto-efficacia percepita), che delle metodologie e strategie di ottimizzazione degli apprendimenti necessarie al bambino con disturbo dell'apprendimento. 

 Ricordo che il sostegno psicologico è un intervento di specifica competenza dello psicologo, l'unica figura professionale abilitata ad esercitare per legge tale intervento(psicologo, psichiatra)

     Il potenziamento cognitivo si rivolge alla personalità del bambino nella sua globalità cognitiva ed emotivo-relazionale  (anche il supporto familiare deve essere curato) e non soltanto alla componente linguistica. Sul livello tecnico esistono vari metodi di potenziamento cognitivo, alcuni esempi: 

il Programma di Arricchimento Strumentale di Feuerstein,

i metodi di Potenziamento Meta-cognitivi, 

i Programmi di Potenziamento nella Matematica...ecc. 

Tutti metodi e tecniche che vanno apprese e che devono essere applicati da Psicologi, proprio perché la competenza psicologica riesce ad affrontare le problematiche del bambino nella sua globalità psicologica e cognitiva.

 contattami per info 371-4815740

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